Il 30 agosto la Commissione UE ha condannato la Apple a restituire sino a 13 miliardi di € (più interessi), che il fisco irlandese non avrebbe riscosso dalle filiali locali Apple Sales International e Apple Operations Europe, per via di un ruling che determinava il reddito imponibile delle due in termini molto vantaggiosi. Secondo la Commissione, Apple avrebbe goduto di aiuti illegali (aliquote effettive tra lo 0,5% allo 0,005%, anzichè il 12,5% nel decennio 2003-2014).
Ora il governo irlandese dovrà decidere ammontare e modalità con cui Apple dovrà restituire l’aiuto. La decisione è contestata da Apple, al cui fianco si è schierato persino il governo americano.
Nell’attesa di leggerne le motivazioni,é possibile anticipare alcune importanti riflessioni.
1) Il controllo in materia di aiuti di stato è uno strumento legittimo per contrastare i regimi fiscali aggressivi.
L’uso del divieto di aiuti a tali fini è trattato in modo sistematico gia nella Comunicazione sugli aiuti fiscali del 1998, a seguito della quale la Commissione inizia a utilizzare le proprie prerogative in materia di controllo degli aiuti di stato per contrastare misure di attrazione fiscale internazionale, avviando indagini nei confronti delle misure elencate nel codice di condotta sulla concorrenza fiscale sleale pubblicato dalla Commissione sempre nel 1998.
La Corte di Giustizia UE ha confermato (da ultimo nelle cause riunite C-106/09P e C-107/09P) che i regimi fiscali preferenziali possono ben costituire aiuti di Stato proibiti se la Commissione dimostra che questi forniscono vantaggi fiscali selettivi a favore di certe imprese, in maniera derogatoria rispetto al regime fiscale normalmente applicabile e senza che esista una giustificazione per la natura del sistema fiscale.
2) Un ruling fiscale come quello accordato ad Apple effettivamente concede vantaggi, attraverso l’applicazione di imposte sulle società ad aliquote effettive di gran lunga inferiori a quella ufficiale (di cui hanno beneficiato le controllate di Apple in Irlanda).
Tuttavia apple ha almeno in parte legittimamente escluso da imposizione irlandese quei profitti che non erano ivi tassabili sulla base dell’arm’s lenght (principio che ha il fine di allocare a ciascuno Stato il giusto ammontare di profitti conseguiti da una multinazionale), la cui corretta applicazione giustifica una deroga alla normale determinazione dell’imponibile, per prevenire la doppia imposizione internazionale sui medesimi profitti. E’ la stessa Commissione a riconoscere nel proprio comunicato stampa che la somma che l’Irlanda deve recuperare potrebbe essere inferiore perché altri Paesi possono chiedere di essere rimborsati, riducendo così il totale che deve essere versato nelle casse irlandesi. Questo, tuttavia, dimostra che l’asserito aiuto non andr calcolato rispetto all’applicazione dell’aliquota statutaria sui profitti contabilizzati in Irlanda, come sembra ritenere la Commissione, ma solo rispetto ai profitti allocabili all’Irlanda a seguito dell’applicazione del principio dell’arm’s lenght come generalmente inteso e applicato nello Stato Membro in questione. Il principio dell’arm’s lenght non è reperibile nel diritto dell’Unione, che non ha competenza ad armonizzare le regole nazionali materia di fiscalità diretta delle imprese, ma esclusivamente nel diritto nazionale.
3) Le inchieste sul singolo ruling fiscale ignorano gli altri ruling alle multinazionali.
Questo è l’aspetto maggiormente criticabile della pratica della Commissione. I ruling sono dei regimi generali aperti a tutte le multinazionali che operano internazionalmente e che, contrariamente alle imprese nazionali, incontrano il rischio di doppia imposizione internazionale.
La pratica della Commissione di investigare singoli ruling è potenzialmente illegittima, perché il contraddittorio con lo Stato membro si stabilisce impropriamente sul confronto tra imposizione effettiva sopportata dal beneficiario del singolo ruling e imposta che avrebbe dovuto pagare applicando l’aliquota statutaria su un ricalcolo analitico dei profitti tassabili alla luce delle scritture contabili, ignorando i ruling delle altre multinazionali, che sono quelli effettivamente comparabili. Tale prassi discrimina indebitamente solo le multinazionali arbitrariamente ‘selezionate’ per l’indagine della Commissione.
4) Il recupero di un aiuto illegittimamente dato mira a ristabilire la situazione concorrenziale turbata dalla messa a disposizione di vantaggi illegali.
La restituzione non viola il principio di legalità dell’imposta (causa C-75/97), ma può essere contrastato invocando il legittimo affidamento se la Commissione stessa ha creato incertezza (Cause riunite C-183/02P e 187/02P), come nel caso dei ruling (da ultimo Working Paper del 03.06.2016, p.5). I beneficiari di ruling sono quindi incapaci di stabilire se uno specifico ruling costituisca aiuto, dato che tutti i ruling non verificati dalla Commissione sono a rischio d’illegittimità in quanto potenzialmente non in linea col principio dell’arm’s lenght nella interpretazione che ne da la Commissione UE (che potrebbe non coincidere con le indicazioni OCSE).
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La situazione è stata oggi perfettamente descritta da Robert Stack (US Treasury) al convegno dell’International Fiscal Association a Barcellona, che ha parlato di “secret legislation” applicata dalla Commissione, ovvero norme non conosciute e non conoscibili dalle imprese.
Tale incertezza si estende necessariamente ai ruling “patent box”, e deve essere risolta con urgenza per non creare un danno all’economia degli Stati membri, sopratutto di quelli rispettosi degli standard internazionali per la prevenzione della doppia imposizione.
In teoria, l’unico modo per avere certezza in un simile scenario sarebbe per le amministrazioni nazionali negare nuovi ruling, sospendere quelli in corso, e notificarli alla Commissione prima di firmarli.